Che poi non è che si parli così tanto di zombi. Ogni tanto si va avanti con questo racconto a puntate e poco più. Si discuterà pure d'altro. Non so cosa, ma altro. Zebre mannare, ad esempio. Pomodori assassini, forse (sì, i nemici di George Clooney). Robe di questo genere, insomma. Slender Man. Qualche creepypasta qua e là. Un po' di spazio verrà sicuramente concesso al poliedrico autore Joseph Carrà, altro a dei disegnini simpatici. Poi chissà. Si vedrà. Quello che certamente non troverete all'interno di questo blog saranno le inserzioni pubblicitarie con AdSense e altri lettori.

martedì 31 gennaio 2017

Gli acidi. La peste. Le piovre. L'Islanda

EPISODIO 1

La serata stava prendendo una piega insolita. Alla tele il meteorologo presagiva eventi conciliabili col pessimismo cosmico, io anziché studiare avevo optato per gli acidi e mio cugino Pitto aveva la peste. Magari non si trattava proprio di peste, ma certamente era qualcosa di più grave di febbre e diarrea. La pelle grigiastra coperta di bubboni e piaghe fonde almeno mezzo centimetro. Le urla di dolore alternate al pianto. La bocca che spruzzava piccoli fiotti di sangue misto a catarro grumoso a ogni colpo di tosse. Il sudore caldo. I vaneggiamenti. La scarsa propensione al dialogo.
«Che cazzo ti è successo?» gli avevo chiesto quando era rientrato a casa.
«Uaaaaaah!» aveva risposto lui.
«Dai, sul serio…»
«Uaaaaaaaaauuuuaaaah!» sempre lui.
Poi si era chiuso in camera e probabilmente si era steso sul letto a contemplare le immagini del suo passato che scorrevano sul soffitto bianco prima del calo finale del sipario.

Io, non sapendo esattamente cosa fare, zittii il meteorologo con un colpo di telecomando e fumai una buona sigaretta sperando di riprendermi dalla catarsi dovuta all’lsd. Fuori dalla finestra nuvole ciccione imbrattavano il cielo di grigio e si mescolavano col fumo che si alzava dalla mia Camel Light. L’auto di Pitto parcheggiata male impediva l’accesso al vialetto di casa. Aveva lasciato i fari accesi. Il fascio di luce cadeva impietoso sulla carcassa di un gatto morto. La carcassa era là da un paio di giorni e puzzava come un cesso chimico. Ascoltai Pitto gemere. La mia mente ballerina associò quel verso ad un assolo di sax e fu quasi piacevole. Aveva una certa musicalità. Un secondo lamento, più sordo e viscerale, mi ridestò dal concerto mentale che si era innescato nella mia testa.
Gettai la cicca consumata dalla finestra, afferrai il telefono e feci per comporre il numero del pronto soccorso. Da qui la prima problematica: non sapevo quale fosse il numero. 112, 113, 115, 118, 119. Avevo le stesse possibilità di chiamare l’ospedale quanto quelle di contattare il numero verde del mio operatore telefonico. Probabilmente una persona normale avrebbe composto uno di quei numeri e spiegato la situazione. Io non ero una persona normale però; ero un fancazzista sotto l’influsso degli acidi, e l’idea di chiamare per sbaglio i caramba mi innervosiva, come se avessero potuto sottopormi a un drug test telefonico basato sui toni delle  corde vocali. Paranoie assurde, è vero. Ma pur sempre paranoie. Paranoie da droga, per giunta. Le peggiori. La mia notoria propensione al problem solving mi spinse a cercare il numero del medico di famiglia, annotato anni fa da quell’ipocondriaca di mia madre sull’obsoleta rubrica cartacea vicino al telefono.

«Buonasera. Parlo col pronto soccorso?»
«No, qui è la Nasa» rispose l’uomo. Aveva un tono a metà tra l’annoiato e l’incazzato.
«Come?» domandai.
«Prima di tutto non sono il pronto soccorso, ma un medico; e poi questo non è il numero del mio ufficio, ma quello personale… mi dica chi è e che cosa vuole.»
Giusto. Era il dottore e non il pronto soccorso. Stupido me stesso.
«Ecco, bene… non so come spiegarglielo, ma credo che mio cugino… ecco… abbia la peste.»
«Certo, capisco perfettamente. Mio fratello invece è un polipo camuffato da essere umano e se ne va in giro coi tentacoli che gli escono dal buco del culo.»
Nonostante gli acidi capii che mentiva.
«Andiamo amico, tu non capisci… gli sono sbucati certi bubboni sulle chiappe che sembrano le emorroidi penzolanti di uno scimpanzé, e la pelle è diventata di un colore del cazzo, tipo bluastro, e puzza pure di marcio… un odore che ti fa salire i conati anche a tre metri di distanza.»
«Ok cowboy, facciamo così. Ora ti racconto una bella storiella. Non è molto divertente, ma ti coinvolgerà. L’altro giorno un ragazzo ha telefonato dicendo che sua madre aveva la lebbra. Suonava strano, ma nel dubbio mi sono fatto personalmente quaranta kilometri a centoventi all’ora. Arrivo in tempo record all’indirizzo indicatomi dal ragazzino, e scopro che quel maledetto figliaccio di puttana mi aveva dato l’indirizzo della sua insegnate di scienze.»
«Ho capito, ma…»
«Lasciami finire, ragazzo. Allora, stavamo dicendo, nessuno aveva la lebbra. L'insegnante di scienze stava benissimo, e anche il professore di educazione fisica che si stava bombando quel giorno stava benissimo. Stavano tutti fottutamente benissimo. Certo, io avevo un po’ di diarrea, ma non sono il tipo che si lamenta. Mentre tornavo a casa mi sono imbattuto in un incidente stradale; un furgone ha invaso l’altra corsia e ha travolto una Smart. Dentro c’erano due ragazzi. Un attimo dopo uno scooter che viaggiava a tutta velocità è andato a sbattere sulla Smart… sai, l’incidente è avvenuto in curva. A bordo c’erano altri due ragazzi. Loro sono schiattati sul colpo, ma gli altri due dentro alla macchina hanno tirato le cuoia dopo ore di agonia, tra emorragie interne e ossa spezzate. Uno di quei due poveri stronzi aveva un pezzo di cervello che gli sporgeva da un’orbita. L’occhio destro era schizzato fuori del finestrino, a dieci metri di distanza. Quel povero stronzo è morto dopo tre ore. Era cosciente pure se la materia grigia gli colava giù sullo zigomo. Se con l’occhio sinistro avesse cercato di guardarsi la punta del naso, sarebbe riuscito a vedere le cervella che gli coloravano la guancia.»
«Mi dispiace molto per questa storia, ma…»
«Vedi, io avrei potuto fare qualcosa, però avevo con me solo il mio kit anti-lebbra e non sono riuscito a dare una mano... Ancora oggi, prima di andare a letto, mi sembra di sentire tutte quelle urla e...»
«Ti stai inventando tutto, vero?» lo interruppi.
«Certo che sto inventando. Da cosa l’hai dedotto, Einstain?»
«Il kit anti-lebbra.»
«Perspicace per uno che non riesce a distinguere la peste bubbonica da un culo infiammato.»
«Lui sta male...»
«Passamelo.»
«Cosa?»
«Avanti, passami questo tuo fantomatico cugino malato di peste.»
«Ma se non riesce neanche ad andare a pisciare…»
«Ok. Ti ricordi di mio fratello?»
«Come?»
«Andiamo, mio fratello! Il tizio di cui ti ho parlato prima, quello coi tentacoli che gli escono dal buco del culo.»
«Non me ne frega un cazzo di queste stronzate.»
«Pensa che lui riesce addirittura a menarsi l’uccello, con quei tentacoli, pur non avendo il pollice opponibile.»
«Fantastico, dovrebbe andare a qualche talent show…»
«Puoi scommetterci il culo. Al suo posto io avrei optato per la stimolazione della prostata per via rettale, non trovi? Sarebbe stato molto più semplice… ma invece lui no. È uno che non scende a compromessi, mio fratello. Una persona del genere ne farà, di strada. Eccome se ne farà.»
«Certo che ti piacciono parecchio, questi stradannati polipi. Perché non te ne scopi uno?»
«Lo farei ragazzo. Oh, ti giuro che lo farei, se soltanto sapessi da dove cominciare. Sono degli animali fantastici. Se vivessero a lungo quanto un essere umano, a quest’ora avrebbero già conquistato il mondo, grazie alla loro intelligenza superiore.»
«Dai, cazzo, falla finita! Forse ho sbagliato diagnosi, mica sono un cazzo di dottore. Magari mio cugino non avrà la peste, ma puoi star certo che sta più di là che di qua.»
«Tu dici, eh?»
«Anzi, lo sai che ti dico? Mio cugino ha la peste e basta, cazzo. L’ho studiata in storia medievale...»
«Sai da dove comincerebbero?»
«Chi? Cosa?»
«I polipi… sai da dove comincerebbero a conquistare il mondo? Dall’Islanda. L’Islanda non ha l’esercito, e sono pure pochi. Lo sai quanti sono gli islandesi?»
«Andiamo, lo vuoi capire che…»
«Lo sai o no?»
«No, cazzo. Non ho la più pallida idea di quanti abitanti abbia l’Islanda.»
«Nemmeno io, ma sono certo che ci sono più piattole che scorrazzano tra i miei peli pubici che forme di vita in Islanda. E ti assicuro che io il problema delle piattole l’ho quasi sconfitto definitivamente. Senza esercito sarebbe un gioco da ragazzi, per i polipi. Dovrebbero solo sbaragliare la guardia costiera e la nazione sarebbe nelle loro mani. Anzi, nei loro tentacoli…»
«LA SAI UNA COSA BRUTTO TESTA DI CAZZO? ORA BASTA! IL MIO AMICO STA MORENDO E TU FAI LO SPIRITOSO. MA ORA BASTA! ORA CHIAMO LA POLIZIA E TI FACCIO ARRESTARE PER NEGLIGENZA, BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA!»
Bluffavo. Sempre quel discorso su 112, 113, 118 eccetera.
«Giocherebbero pure in casa, contro la guardia costiera. Sai, in acqua nessuno può fottere i polipi. Sono loro che fottono te. E comunque, gentile signore, non ha rispettato la procedura… a quest’ora deve chiamare la guardia medica, che a sua volta contatterà il pronto soccorso più idoneo al suo caso, tenendo conto della distanza geografica, delle unità mobili disponibili nelle strutture di zona e dell’urgenza della situazione, e non un povero stronzo che ha passato il pomeriggio a prescrivere pasticche per la pressione a vecchie obese e a diagnosticare un cazzo a malati immaginari…»

Riagganciai senza togliermi lo sfizio di mandarlo a fanculo.
Dovevo inventarmi qualcosa. Attraversai il corridoio e raggiunsi la libreria. Esaminai rapidamente i libri sugli scaffali. Trovai il volume sul quale avevo preparato l’esame di storia medievale. Lo prelevai e consultai l’indice.
«La morte nera… pagina 388…»
Sfogliai le pagine fino a raggiungere il capitolo in questione. Cominciai a leggere direttamente il paragrafo dedicato ai rimedi della nonna.

…furono molti coloro che cercarono di fare soldi proclamando cure il più delle volte inefficaci. Quello che segue è un esempio delle principali terapie utilizzate all’epoca…